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23/09/2013

 

 L’EDICOLA DEL CONSULENTE DEL LAVORO del 23/9/2013
A cura della Fondazione Studi Nazionale
 
A Voi tutti, un ottimo di tutto!
 
                                                    Il Presidente Regionale
                                                         Anna Maria Granata
 
 
 
 
ARGOMENTI TRATTATI
|Fisco |Lavoro|
Fisco
 
Componenti del reddito incerti e deroga al criterio di competenza
La Commissione tributaria regionale di Roma, con la sentenza n. 297/22/13 depositata il 7 agosto 2013, evidenzia come il principio della certezza contemplato dall'art. 109 del Tuir debba essere inteso in senso economico, e non strettamente giuridico.

Pertanto, qualora la condizione di certezza dei costi e ricavi di competenza di un dato esercizio non si verifichi al momento della chiusura dell'esercizio, i componenti del reddito d'impresa assumono rilevanza fiscale nel momento in cui siano obiettivamente determinabili. Questo anche quando la condizione di certezza si presenta entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.

La decisione del giudice tributario si pone in contrasto con la sentenza n. 2892 del 2002 della Corte di Cassazione, la quale aveva sentenziato che, se il requisito della certezza si fosse verificato prima del termine della presentazione della dichiarazione dei redditi, i componenti del reddito dovevano comunque concorrere a formare il reddito nell'esercizio di competenza.
 
 
La violazione del contraddittorio porta alla nullità
La Ctr Lombardia, con la sentenza 82/33/2013 depositata il 7 giugno 2013, ha rimarcato l’obbligatorietà del rispetto del contraddittorio nelle controversie tributarie.

La questione ha riguardato un ricorso in Ctp da parte di una contribuente che aveva chiesto, con regolare istanza, la trattazione pubblica. Pur tuttavia, la Ctp aveva emesso sentenza favorevole al Fisco senza dare avviso della data di udienza alla ricorrente o ai difensori.

Ciò decreta la nullità della sentenza di primo grado per carenza di contradditorio.

Il giudice, spiega la Ctr, non può decidere senza aver sentito le parti, perché violerebbe il diritto alla difesa, principio sancito dall'art. 24 della Costituzione: “
ogni processo si svolge nel contradditorio tra le parti”.

Infatti, la parte ricorrente non è stata messa in grado di discutere e illustrare le sue ragioni in udienza, né conseguentemente ha potuto presentare memorie integrative o depositare documenti, entro i termini previsti, prima della udienza.
 
 
Lavoro
 
Aggiornamenti retribuzioni settembre 2013
 
Demansionamento professionale. Il risarcimento ricade in solido sulle società coinvolte
Con due sentenza del 10 e 11 settembre 2013, rispettivamente la n. 20716 e la n. 20829, la Corte di Cassazione si esprime in materia di responsabilità solidale da parte delle società per i danni arrecati ai loro dipendenti.

Con la prima pronuncia – la n.
20716/2013 – la Corte analizza il caso di una cessione di ramo d’azienda a seguito della quale i dipendenti coinvolti nell’operazione straordinaria hanno subito un danno da demansionamento. Contro la decisione dei giudici di merito, che hanno imposto il risarcimento sia all’azienda cedente che alla cessionaria in virtù del principio di responsabilità solidale, si è proposto ricorso in Cassazione. I Supremi giudici, rigettando il ricorso principale e quello incidentale, confermano che nel caso in cui nel passaggio di dipendenti da un’azienda ad un’altra si verifichi un demansionamento professionale sussiste la responsabilità solidale. Entrambe le azienda sono, così, tenute a risarcire il danno subito dai lavoratori, a condizione che questi ultimi dimostrino che durante l’operazione di trasferimento vi sia stata continuità del proprio rapporto di lavoro. Unica ipotesi in cui la responsabilità solidale di cui all’articolo 2112 del Codice civile non opera è, appunto, in caso di cessazione del rapporto di lavoro prima del trasferimento del ramo d’azienda.

Nella sentenza n. 20829/2013, ancora, è una banca ad essere chiamata a risarcire il danno da dequalificazione professionale subito da un vicedirettore di un piccolo istituto di credito, assorbito – in virtù di un’operazione societaria – da un’azienda di credito di maggiori dimensioni. Anche in questo caso, la Cassazione ribadisce che se interviene un’operazione societaria, a conclusione della quale il dipendente perde il proprio ruolo a seguito dell’affidamento di mansioni diverse e senza ombra di dubbio di livello inferiore, non può essere considerato ammissibile tale sorta di demansionamento. Per la Corte non può essere accolta la motivazione secondo cui nel giudizio di equivalenza si deve tener conto anche della nuova organizzazione imprenditoriale. Per poter addurre un giudizio di equivalenza non può essere fatta una comparazione tra realtà aziendali evidentemente troppo differenti tra di loro sia per dimensioni che per importanza: la corretta valutazione a livello di equivalenza potrà essere effettuata solo tenendo contro dei reali compiti svolti concretamente dal dipendente nelle due realtà aziendali.
 

 
 
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